Se immaginiamo cosa abbiamo imparato da questo anno, o forse dovremmo dire due, di pandemia potremmo usare un’immagine western: il buono, il brutto e il cattivo. 

Il buono lo chiamerei “Casa”. Nel buono vorrei mettere i vantaggi di aver lavorato da casa, la maggiore collaborazione con il team, il fatto che siamo riusciti a continuare ad essere produttivi, la flessibilità degli orari che abbiamo raggiunto.

Il brutto lo chiamerei “bambini”. Siamo partiti con il lavoro da casa senza aver fatto prima nessun test, completamente disorganizzati e provando a capitalizzare quello che nel tempo avevamo appreso per altre ragioni. Chi ha pagato di più questa condizione sono probabilmente i bambini, o più in generale il sistema familiare, costretto alla didattica a distanza oppure a mantenersi “buoni” mentre i genitori lavoravano. Allo stesso tempo la perdita di informalità, di relazioni casuali per strada o in piazza, è un altro degli aspetti peggiori di questa pandemia.

Il brutto lo chiamerei “Manager”. Proprio coloro che erano chiamati a gestire delle squadre hanno forse sentito più di tutti il sentirsi esausti, la perdita dei confini, la dimensione del lavoro virtuale, la perdita di una cultura identitaria all’interno della squadra. Resta innegabile la difficoltà di gestire una squadra in un modo nuovo di intendere l’empatia e le relazioni.

Se vuoi saperne di più, contattaci.

Leggi l’articolo completo!