Le strategie di Employer Branding hanno il suo fondamento nel rendere attrattivo il proprio luogo di lavoro: cosa succede con lo smartworking? Great Place To Work parla appunto di un “Place”.
La pandemia di questi anni ha però spostato i lavoratori fuori dagli uffici rendendo difficile definire geograficamente in quale “luogo” si trova un’azienda.
I luoghi di lavoro e la pandemia
In molti stanno studiando gli effetti che il Covid sta avendo nel modo di comunicare in azienda e nelle relazioni tra manager e collaboratori (rimandiamo per questo “How has COVID changed the way we should collaborate and innovate?” con i dati su Microsoft nel 2020 commentati da Frederik Anseel). Il team di ricerca dello studio ha concluso “Sebbene la stragrande maggioranza dei dipendenti preferisce lavorare da casa, il lavoro a distanza rischia di minare l’innovazione e la collaborazione tra unità, a meno che i leader non possano intervenire per creare opportunità di connessioni occasionali e informali”. E lo sta dicendo un’azienda che si guadagna da vivere vendendo software per il lavoro a distanza!
Un luogo di lavoro ibrido e allargato sta rivelando la difficoltà di gestione da parte di manager e della stessa funzione risorse umane. Ma forse la questione non sta più nel come organizzare le aziende o sul cosa proporre per aumentare la collaborazione e la sensazione di appartenenza all’azienda. Forse la risposta sta più nel perché.
Tempo e luogo di lavoro: la vita
Per quanto possa apparire romantico è il vero cuore del problema. Lavorare a casa (che, attenzione, è molto lontano dal lavorare “da” casa e ancora di più dallo smart working) ha velocemente intrecciato nello spazio aspetti che erano lontani nel tempo.
C’era il tempo a casa e il tempo a lavoro.
Ci sono state alcune difficoltà iniziali, date anche dall’emergenza e dalla velocità: computer e dispositivi adatti, persone di cui prendersi cura, abilità specifiche da formare al momento. Poi c’è stato il tempo del riflettere, del valutare se si stava meglio quando si stava peggio (!). E non stupisce che alla domanda: “Ma torneresti in azienda? Per quanto tempo?” le persone rispondano “Non lo so, so solo che non voglio tornare a quei ritmi”.
Mentre consulenti e imprenditori continuano a chiedere “Come vogliamo fare?” le persone continuano a chiedersi “perché lo dovrei fare?”, in una sorta di incomunicabilità che allontana ad ogni progressiva risposta.
C’è un tempo, da distribuire saggiamente tra casa e lavoro.
E anche il “2022 Global Talent Trends” di Linkedin Business, conferma che ormai nella valutazione di una nuova posizione lavorativa si va più riferimento al bilanciamento con la propria vita privata piuttosto che alla retribuzione e ai colleghi.
Employer Work-Life Branding
Impariamo insieme a creare campagne di Employer Branding che non si accontentano solo di attrarre i migliori candidati. L’obiettivo è favorire una vera e propria Employee Experience già dai primi approcci.
Vogliamo posizionare l’azienda come uno spazio che sia consapevole che i veri luoghi in cui abita l’azienda sono le persone che la costituiscono. L’obiettivo è comunicare il “brand” del bilanciamento tra vita e lavoro di quell’azienda. Employer branding di un tempo e non di un luogo lavoro. Un Employer Work-Life Branding: questa è fonte di ISPIRAZIONE per clienti e potenziali dipendenti.
In questo senso l’Employer Branding si incastra con le dinamiche di reward e di welfare e propone processi che, partendo dalla contrattualistica e dai benefit, arriva a proporsi come luogo in cui prendersi cura del benessere reciprocamente: una economia circolare e proficua già nel rapporto con i propri collaboratori.
Come è possibile? Non esistono risposte pre-confenzionate né semplici. Tantomeno possono essere replicate da un cliente all’altro. Tutto parte da una accurata analisi a cui segue un processo creativo che compartecipa con il cliente.
Vogliamo creare una soluzione di lunga durata, che sia un investimento e non un costo.