Autenticità fa rima con Tenacità.

Tenacia e Tenacità provengono dalla stessa radice: tenace, “che tiene”.

Mentre il primo sostantivo si riferisce soprattutto al “tenere” come “restare fermo, costante” e si riferisce più comunemente alle persone, la tenacità ha a che vedere con l’avere “molta forza adesiva (es. tenacità di una colla) o di coesione (es. tenacità del terreno, come resistenza al disgregamento, spiccata nei terreni argillosi), e in particolare alla forte resistenza alla rottura per sollecitazioni dinamiche variabili, urti, ecc. (es. tenacità di una corda)”. 

Giocando con le parole, nonostante in questa accezione sia più usata per le cose, tenacità fa rima con autenticità

Volendo creare un neologismo, in questo articolo Tenacità vuol dire restare aderenti, coesi e resistenti alla rottura con il proprio sé più autentico

Si tratta di esprimere TENACIA nella capacità di restare fermi nelle proprie scelte e interessi professionali, ma nell’accrescere la propria TENACITA’ per restare fortemente ancorati 

  • alle motivazioni al lavoro, 
  • ai desideri professionali, 
  • ai valori che accompagno il senso ultimo del lavoro, 
  • alla domanda centrale: COSA VOGLIO FARE CON IL MIO LAVORO.

Si tratta un po’ di tornare alle origini e rintracciare cosa ci ha sempre spinto a continuare, cosa ci è sempre piaciuto, cosa è capace di attivare (o ri-attivare) la nostra motivazione, in altre parole la nostra ASPIRAZIONE PROFESSIONALE PRIMARIA.

Provare a scavare nel passato, come si è tentato di fare, per rintracciare questa aspirazione non ci porta lontano: giungiamo a categorie e tassonomie che sono “scadute” nel momento in cui le fissiamo su carta (Soresi, 2000).

Allo stesso tempo rintracciare nel caos e nella rapidità del presente e nelle molteplicità di professioni e contesti lavorativi la propria, unica e originale aspirazione, può sembrare una impresa impossibile (Nota, 2004). 

Ma se pensiamo “con i colori”, come l’Agenda 2030 propone, ci viene in aiuto la letteratura e, in particolare, una filastrocca di Gianni Rodari “La storia universale”.

STORIA UNIVERSALE
di Gianni Rodari

In principio la Terra era tutta sbagliata,

renderla più abitabile fu una bella faticata.

Per passare i fiumi non c’erano ponti.

Non c’erano sentieri per salire sui monti.

Ti volevi sedere?

Neanche l’ombra di un panchetto.

Cascavi dal sonno?

Non esisteva il letto.

Per non pungersi i piedi, né scarpe né stivali.

Se ci vedevi poco non trovavi gli occhiali.

Per fare una partita non c’erano palloni:

mancava la pentola e il fuoco per cuocere i maccheroni.

Anzi a guardare bene mancava anche la pasta.

Non c’era nulla di niente.

Zero via zero, e basta.

C’erano solo gli uomini, con due braccia per lavorare

e agli errori più grossi si poté rimediare.

Da correggere, però, ne restano ancora tanti:

rimboccatevi le maniche, c’è lavoro per tutti quanti.

Lavorare è stato il modo in cui l’umanità ha messo ordine al caos, scrive l’autore. E ognuno, nel tempo, a trovato il proprio modo per risolversi un bisogno mentre, contemporaneamente, dava un contributo per il benessere di tutti gli altri.

Si tratta di continuare nel 2020 questa opera e, con lo stesso respiro universale, risolvere le emergenze planetarie che ci lancia l’Agenda 2030.  Lo scopo ultimo di questa nuova sfida per il pianeta è infatti coinvolgere le comunità di tutto il mondo nel gettare le basi per prospettive migliori per la Terra ed i suoi abitanti, in un presente in cui istituzioni, governi, città, aree rurali, aziende, imprese, organizzazioni della società civile, studiosi, scienziati e i singoli cittadini sono invitati a fare ciascuno la propria parte per garantire il successo della missione.

Scoprirsi protagonisti in questa Storia Universale, ci porta verso un continuo cambio di sguardo dal passato al futuro – “cosa di ciò che è stato posso usare” – e dal futuro al passato – “come ri-racconto quello che mi è accaduto alla luce di quello che sono oggi” –   ma soprattutto ci spinge verso la capacità di esprimere sé stessi per realizzare (!) sempre di più gli obiettivi del millennio: il benessere #nessunoescluso. 

La consulenza e il coaching orientati allo Sviluppo Sostenibile vogliono proprio andare a rintracciare il senso ultimo del proprio lavoro, quello che ci fa stare bene mentre fa stare bene gli altri, quello che faremmo tutto il giorno e per il quale ci piace collaborare. Quello che facciamo bene e che porta il bene. Quello che spetta a noi fare per il benessere nostro e di tutti. 

La nostra ASPIRAZIONE PROFESSIONALE PRIMARIA, quella che ogni giorno cerchiamo di soddisfare mentre cerchiamo lavoro e mentre lavoriamo, così come la sperimentiamo nella nostra vita privata.

Raggiungere livelli di TENACITÀ più profondi rispetto alla propria ASPIRAZIONE PROFESSIONALE primaria è in relazione quindi con le prestazioni e il potenziale, ma anche con il benessere e la qualità della vita. In questo si aprono riflessioni centrali sul Diritto alla carriera e sul Diritto all’insuccesso, che affronteremo in articoli successivi.

L’intervento di consulenza efficace – coaching, orientamento, sviluppo – parte con l’obiettivo, non necessariamente esplicitato, di ritrovare l’autenticità di se stessi e delle proprie aspirazioni, intesa come la riappropriazione del DIRITTO DI POTER FARE CIÒ CHE PIACE, considerando i vincoli ma senza snaturare il cuore delle proprie motivazioni al lavoro: ESPRIMERE SÉ STESSI. 

Vediamo di seguito alcune domande di innesco:

  1. Ma tu… che volevi fare? Nelle intenzioni, come doveva andare il percorso? Come te lo eri immaginato? Come sei finito qui?
  2. Elenchiamo le cose che ti piacciono di più e proviamo a vedere perché (cfr. Savickas, 2015)
  3. Da piccolo (oppure Quando ti sei iscritto a scuola, oppure, Quando ti sei iscritto all’università/master) che volevi fare? Perché hai pensato ti servisse?
  4. Quale è la cosa che gli altri ti considerano bravissimo a fare? La cosa che ti contraddistingue come tua “deformazione professionale”? (cfr. Circolo Competenza del BidiComp 2007)
  5. Proviamo a ragionare senza vincoli, senza problemi, con risorse illimitate… cosa faresti?

Come si può notare, non si tratta di contenuti lontani dalla pratica professionale quotidiana. Si tratta semplicemente di spostare all’inizio del percorso, spesso proprio nel primissimo incontro con la persona, la scelta di quale percorso professionale intraprendere. Una scelta forse più istintiva, meno ragionata, ma maggiormente in linea con i nuovissimi contributi sull’orientamento attuale: il progetto “delirante” (nel senso di fuori dagli schemi) di Bresciani, la cancellazione dei profili professionali proposta da Soresi (2018), il coraggio quotidiano di Rosas (2018).

Quando le persone vedono per la prima volta la propria Aspirazione Primaria, il filo rosso che ha attraversato le proprie vite e che ha guidato le scelte e le possibilità, vivono una profonda sensazione di chiarezza, percepiscono in quello che vedono l’“effetto verità”, come se tutto fosse improvvisamente chiaro. E un po’ come la pillola rossa per Neo (cit. dal film Matrix): non si può tornare indietro. Ma allo stesso tempo non si vorrebbe farlo: si ha finalmente la percezione di essere al proprio posto, di poter fare quello che si vuole fare, di sapere come essere realizzato.

Insistiamo che configurare come focus centrale – nelle HR e nelle azioni di coaching e sviluppo del personale – le ASPIRAZIONI PROFESSIONALI PRIMARIE non è un atto solidaristico: procedere al potenziamento delle abilità assertive e di argomentazione di sé permette alle persone di aumentare le loro capacità di autoaffermarsi ma anche di incidere in modo significativo sui contesti a vantaggio dell’impresa e di tutti

Nessuna competenza e abilità potrà essere espressa al suo potenziale senza essere tenacemente coesa con le proprie aspirazioni centrali. 

Neo: Mi fanno male gli occhi. 

Morpheus: Perché non li hai mai usati.

Dal film MATRIX

dott.ssa Lucia Giammarinaro